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AIDS: rompiamo il silenzio intervista al vicepresidente di NPS Italia Onlus, Miki Formisano

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Silenzio. E’ di nuovo silenzio. Spenti i riflettori sulla giornata dell’Aids del 1 dicembre, del virus dell’Hiv e dell’ Aids nessuno ne parla più. Torna a non fare più paura. Come se fosse scomparso. Ed invece no. Un silenzio che dura da tanto, troppo tempo. E intanto il virus continua la sua corsa di contagi. Non si muore più come un tempo. Ma ci si continua a contagiare. Inconsapevolmente. Sì, perché lo dicono le cifre: le persone fanno il test quando hanno già i primi sintomi, quando è l’anticamera della malattia in forma conclamata.

Così abbiamo deciso di ‘rompere il silenzio’, di parlare di HIV quando nessuno lo fa.

Un viaggio tra chi, il virus lo conosce bene, tra chi non ha mai smesso di far sentire la propria voce. Un viaggio tra le Associazioni in prima linea. Prima tappa NPS Italia Onlus. Il primo gruppo in Italia fondato esclusivamente da persone Hiv positive, attive nel campo della prevenzione, sensibilizzazione, informazione e supporto psico-sociale per le problematiche legate all’Hiv-Aids, sia in ambito regionale che nazionale. Ci accompagna in questo viaggio il vicepresidente di NPS Italia Onlus, Miki Formisano che lavora fianco a fianco con la Presidente Mariangela Errico e con tutti i volontari NPS.

AIDS: rompiamo il silenzio  intervista al vicepresidente di NPS Italia Onlus, Miki Formisano

Miki Formisano vicepresidente di NPS Italia Onlus

Iniziamo dal silenzio. Un silenzio che è diventato ormai assordante perché stride con le cifre diffuse dal Centro Operativo Aids diffuse dall’Istituto Superiore di Sanità che ci dicono come il virus sia tutt’altro che ‘silente’.

Sono molti anni che questa situazione va avanti nonostante le Associazioni siano sempre in prima linea cercando di informare e accendere i riflettori sul problema. In parte questo silenzio è dovuto al fatto che di Aids non si muore più come prima e che grazie ai farmaci messi a punto in questi anni l’Hiv è diventata una malattia cronica ma questo non significa che il problema non ci sia e non sia importante.

Sempre le cifre, che ci danno uno spaccato, una fotografia della situazione ci dicono che la scoperta della sieropositività arriva quasi ‘per caso’, come se le persone non si rendessero conto di aver corso questo rischio.

Sì è proprio così. Vediamo sempre più ventenni che si scoprono sieropositivi davvero in modo casuale perché prima di allora non si erano proprio posti il problema di conoscere il loro stato sierologico. Ma anche persone adulte si rendono conto di essere stati contagiati nel momento in cui ricevono la diagnosi di Aids conclamato. Persone che hanno vissuto da sieropositivi in modo inconsapevole perché manca la cultura della prevenzione e adeguate informazioni.

Quando 30 anni fa il virus si è affacciato sul panorama mondiale si pensava che fosse la malattia di chi se l’andava a cercare: tossicodipendenti e omosessuali. Oggi le cifre ci dicono che la trasmissione avviene soprattutto per via sessuale, che anche gli eterosessuali sono fortemente interessati dal problema e che il virus non fa distinzioni. Ci portiamo ancora dietro questi tabù, c’è ancora l’idea che sia un problema che riguarda ‘gli altri’?

Sicuramente sì. C’è una ignoranza di fondo, nel senso proprio di non conoscenza, che fa ancora pensare che ‘non può capitare a me’, perché io non vivo ai margini della società, non sono un tossicodipendente che fa uso di droghe iniettive. Ed è per questo che tanti ‘insospettabili’ si scoprono sieropositivi e non sanno neppure loro perché. Eppure è semplice: comportamenti a rischio.

Dal pregiudizio allo stigma. Un tempo era forte la discriminazione nei confronti delle persone sieropositive. E’ ancora così?

Sì le cose sono migliorate ma sono solo piccoli passi in avanti. C’è ancora molta reticenza, molta paura ad ammettere la propria condizione. Ancora una volta è colpa della disinformazione, della cattiva cultura che c’è sull’Hiv. Ce ne rendiamo conto soprattutto quando lavoriamo sul Territorio, quando nelle nostre sedi regionali abbiamo modo di incontrare le persone, di parlarci, di offrirgli il nostro supporto. La diagnosi di Hiv viene vissuta come una condanna, il mondo crolla in un secondo. Pensano che la loro vita sia finita. L’Hiv non fa paura fino a quando non capita a te, eppure si può  tornare a vivere dopo quel test positivo.

Se un tempo la notizia della sieropositività era davvero una condanna a morte oggi è l’inizio di una vita diversa. Possibile. Sicuramente più consapevole. Perché vivere una realtà da sieropositivo inconsapevole è pericoloso per se stessi e per la collettività.

Le persone hanno paura. Paura per la propria salute ma anche paura di essere isolati, di essere reietti, di non conoscere mai più qualcuno che li accetti per quello che sono e che decidano di condividere con loro una vita “normale”, si pensa che che la diagnosi di Hiv sia la fine di tutto, che non si avrà mai più la possibilità di avere una vita affettiva e sessuale normale, e invece una vita è possibile e noi come Associazione ci battiamo affinché le Istituzioni, intese anche come Servizio Sanitario Nazionale supportino queste persone ma anche affinché le stesse persone con Hiv si riapproprino della loro vita. Certo il primo passo è prendere atto della propria condizione sierologica.

Qual è il messaggio che vorrebbe dare ad un ragazzo che ha appena scoperto di essere sieropositivo?

Di non alzare un muro intorno a sé. Non si può tornare indietro, è vero, ma non si devono alzare barriere interiori in quanto si può avere una vita lavorativa, affettiva e anche sessuale. Perché se si è aderenti alla terapia la carica virale si azzera e quindi non si è infettivi, ci sono studi che lo dimostrano quindi si può invecchiare, si può amare.

E a chi gli è a fianco?

Di non scappare. Ma spesso il partner abbandona e la colpa non sempre è la paura del virus, a volte c’è anche la rabbia magari per un tradimento o per un passato non raccontato. E’ più facile che si formi una nuova coppia dopo la scoperta della sieropositività perché il partner conosce lo  stato sierologico del partner e sceglie di amare a prescindere. Perché è possibile avere una vita sessuale attiva, la terapia ce lo permette.

Il 1 dicembre è alle spalle. Ci sono altri giorni davanti prima di un nuovo 1 dicembre. Cosa le piacerebbe che venisse fatto?

Vorrei che non ci fossero da parte delle Istituzioni solo campagne una tantum e appelli un giorno l’anno. Vorrei che la prevenzione e l’informazione fossero una priorità. Vorrei che tutti quelli che possono concretamente fare qualcosa scendessero in campo: Istituzioni, Associazioni e Aziende. E’ necessario agire con fermezza partendo dall’informazione nelle scuole in modo che i ragazzi siano più consapevoli e preparati , informazione e formazione dei Medici di Medicina Generale in modo da riconoscere i sintomi e indirizzare i pazienti al test dell’Hiv senza ritardi in percorsi diagnostici inutili che fanno perdere tempo prezioso alla persona e denaro al SSN. C’è tanto da fare, un  solo giorno l’anno non basta. Per sconfiggere l’Aids bisogna agire come se ogni giorno fosse il primo dicembre, non possiamo essere consapevoli del problema solo un giorno all’anno.

Visita il sito: www.lavostrasaluteonline.it/aids-rompiamo-il-silenzio/

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